top of page
Gianluca Danieli

Recensione di "WILD MEN - FUGA DALLA CIVILTÀ" (2022)

Un vichingo entra in un negozio... Sembrerebbe una barzelletta. Tuttavia...


Regia di Thomas Daneskov. Selezione ufficiale per il Tribecca Film Festival




(Film visionato in anteprima grazie alla collaborazione con "L'Occhio del Cineasta". Sulla stessa piattaforma è pubblicata una versione ritoccata della stessa recensione, modificata per rispettare i parametri di impersonalità )


-


Un signore entra in un negozio vestito da vichingo, con arco e frecce. Cerca di barattare la spesa con un’ascia e pelli di animali che lui stesso ha scuoiato. Non è un viaggiatore del tempo. È un uomo che, non potendone più del mondo moderno, ha lasciato il lavoro, la famiglia e ha deciso di vivere fra le montagne. Quale sarebbe, in questo scenario, la reazione più logica? Chiamare la polizia, o unirsi a lui? La risposta è meno scontata di quanto si pensi.


Wild Men” potrebbe apparire, a primo impatto, come una commedia grottesca e demenziale. Tuttavia, si rivela un film sorprendentemente triste.


L’umorismo c’è, ma è molto sottile, e pare assottigliarsi sempre più dopo ogni scena, quasi fino a sparire, lasciandosi sopraffare dai melodrammi interni dei personaggi. La comicità deriva perlopiù dalle performance deadpan degli attori mentre si perdono in discorsi scombussolati. Come quando il protagonista Martin (Rasmus Bjerg), elencando tutto ciò che detesta dell’attuale civiltà, si perde a giustificare il suo odio per le cassette postali.


Dalla premessa grottesca, si passa al dramma della crisi di mezz’età, poi una storia di sopravvivenza, una caccia all’uomo, un melodramma famigliare, per finire in una crime story alla Tarantino inaspettatamente cruenta con un fuoco incrociato fra pistole e archi-e-frecce. E sia chiaro, NON quel genere di violenza assurdamente grafica, al punto da risultare comica, caratteristica di alcune pellicole di genere slasher o splatter; bensì una violenza cruda e drammatica.


Come lo si può classificare un film così? Forse non si può, ma è QUESTO il tocco geniale.


Il protagonista è in piena crisi esistenziale e stracolmo di contraddizioni. Cerca la felicità nella natura per poi piangere fra i boschi. Fugge dalla tecnologia portandosi dietro il cellulare. Al contempo, la narrazione altalena fra il veritiero ed il grottesco, il crudo e il comico, il noir nordico e la parodia, come se neanche il film sapesse bene cosa vuole essere, ricercando disperatamente la sua identità, fra diversi generi, come fa il protagonista. Per questo, la pellicola rispecchia la crisi di identità e le contraddizioni del personaggio molto bene; talmente bene, in effetti, che pare fatto di proposito.


Il regista danese Thomas Daneskov cerca di far provare allo spettatore ogni singola emozione che si possa vivere al cinema. Il film avrebbe tuttavia beneficiato da una maggiore coerenza e da una più approfondita esplorazione delle backstories dei personaggi e ciò che li ha spinti in quella situazione.


Nel complesso: un’esperienza interessante in cui, proprio come in un tuffo nella natura senza la giusta preparazione, può accadere di tutto. E tutto, infatti, accade. Dal risolino, alla suspense, fino al sospiro depresso.


Per rispondere, infine, alla sopracitata domanda: certe volte, sì, prendo anch’io in considerazione di scappare da tutto e andare a vivere nei boschi. Voi no?




Comments


bottom of page